Canestrelli liguri e Canestrej Bieleis

La storia tutta italiana dei canestrelli.

Ha suscitato la mia curiosità un pacchettino raffinato, con pochi biscotti in stile wafer ripieni di cioccolato finissimo, con un etichetta che riporta la scritta dal 1805 Biella – Italia. Il nome trae in inganno i golosi ancora sprovveduti sulle eccezionali varietà regionali italiane. Eppure il canestrello non è un frollino ligure squisito con la forma di una ciambellina col buco, cosparso di zucchero a velo?
Da brevi ricerche scopro che la ricetta piemontese prevede l’uso del ferro per la cottura di due cialde croccanti e ha una storia antica. La racconta il produttore Brusa:

  • Canestrej Bieleis traggono origine dalle rustiche miasce (MIASSE O MIASCE sono sottili e croccanti a forma rettangolare cotte su apposite piastre, lungamente riscaldate sul fuoco) che pare risalgano ai tempi biblici e fossero gustate già dagli antichi romani. Nella ricetta delle cialde vengono mescolate la farina bianca e fioretto (farina di mais setacciata finemente) con zucchero, burro morbido, la buccia grattugiata di un limone e un’aggiunta di latte. La pasta ottenuta veniva anticamente cotta fra due piastre di pietra, ora invece in acciaio, rese roventi dal calore del camino e incise con lo stemma del casato di alcune famiglie nobiliari della zona. Un antico manoscritto del 1805, custodito presso la biblioteca reale di Torino, è la principale fonte di informazioni storiche sul canestrello. Nel ‘Notice sur l’arrondissement de Biella, departement de la Sesia’, questo il titolo dell’opera, il canestrello viene citato come prodotto tipico biellese, ‘in cui il cioccolato è la base’, e la cui bontà è apprezzata da molti che ne richiedono anche ‘consegne in altre città. Questi canestrelli sono entrati a far parte del gruppo di prodotti agroalimentari tradizionali piemontesi (art. 8 del Decreto Legislativo n. 173/98), tutelati e valorizzati dalla Regione Piemonte.
Canestrej piemontesi_fotografia Cristina Principale

Canestrej piemontesi_fotografia Cristina Principale

Ma anche il Canestrelletto di Torriglia (GENOVA) a forma di margherita è un Prodotto Agroalimentare Tradizionale italiano P.A.T.  (art.8 D.Lgs 173/98); l’associazione culturale “Il Canestrelletto di Torriglia” ha l’obiettivo di promuovere la cultura del canestrelletto e dell’antica tradizione dei panificatori locali, controllando che i produttori rispettino il Disciplinare Comune.

Preparazioni originali a parte, nel 13^ volume de “L’Enciclopedia della Cucina Italiana” (La Biblioteca di Repubblica) ci sono le ricette per sfornare in casa:

Ad maiora

Il cornetto e il suo complice mattutino

Cornetto, brioche

Vienna 1683
I turchi ottomani assediano da due mesi la capitale dell’impero Asburgico senza riuscire a forzarne le difese, quando decidono di scavare gallerie sotterranee per penetrare in città durante la notte e prendere di sorpresa le sentinelle. Ma i fornai, come è si sa, lavorano di notte, e si accorgono del tentativo turco dando l’allarme. La città (e l’Occidente intero) tirano un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo…

Fu proprio in questa occasione che un pasticcere di nome Vendler, inventò – come omaggio allo scampato pericolo – il famoso cornetto. Il tributo alla vittoria sugli Ottomani aveva la significativa forma della mezzaluna turca, come a dire: i turchi volevano farci fuori ma… ce li siamo mangiati!

A questo punto della storia il racconto si divide in due differenti versioni.

Versione I
Nel corso della fuga precipitosa che seguì il fallito assedio di Vienna per intervento delle truppo del re Carlo di Lorena, i turchi abbandonarono nell’accampamento dei sacchi contenenti dei grani con uno strano colore, tanto che gli austriaci lo scambiarono per cibo per cammelli. Stavano quindi per liberarsene quando un certo Kolschirzky, un polacco residente a Vienna, si accorse che si trattava di caffè.
Infatti si trattava di caffè crudo, cioè non tostato, il che spiegava lo strano colore verde.

Kolschirzky – esperto ante litteram di marketing – chiese allora alle autorità il permesso di aprire un caffè (inteso come locale) nel quale poter preparare la bevanda per gli avventori. Da qui cominciò la fortuna dei caffè viennesi e del tipo di locale in generale, visto che la moda si diffuse a macchia d’olio nel mondo.

Versione II
Altre fonti parlano di un polacco con un altro nome, Georg Michaelowitz, una giovane spia inviata dai buoni attraverso le linee turche a chiedere aiuto a Carlo di Lorena.

Per ricompensare il giovane del suo buon lavoro, a vittoria avvenuta, gli diedero in premio dei sacchi contenenti strani chicchi abbrustoliti, che si pensava fossero cibo per animali. Georg, giovane ma già uomo di mondo, sapeva bene che questi semi altro non erano che caffè ed erano usati dai turchi per preparare una gustosa bevanda. Grazie a queste conoscenze, Georg, aprì la prima bottega che vendeva caffè.

Fresche memorie di viaggio

Sorbetto al limone.

Già nel Cinquecento, ancor prima che la moda del viaggio esplodesse col fenomeno del Grand Tour, il Montaigne scriveva nei suoi Essais: «Viaggiare mi par essere un utile esercizio. Lo spirito è continuamente costretto a notare cose nuove e sconosciute. […] Non conosco miglior scuola nella vita che quella di proporre ad essa la diversità di tante altre vite, modi d’essere e usi. Bisogna far ad essa gustare la infinita varietà di forme della nostra natura umana ».

Gustare. Non solo monumenti, paesaggi e volti, ma anche sapori nuovi.
È così che nel Settecento, quando il tour è ormai divenuto indispensabile strumento di formazione per giovani, intellettuali ed artisti di tutta Europa, un gruppo di gentiluomini olandesi intraprende la sua avventura italiana. I quattro si spingono oltre i confini “civilizzati” della penisola, fino a quei luoghi all’epoca considerati pericolosi poiché infestati di briganti: in Puglia.

Qui, in una scapestrata gita a Taranto, scortati dal capitano del porto Carducci, i viaggiatori sono accompagnati in un caffè per assaporarne la specialità: «[…] prendemmo il sorbetto che questi signori ci avevano fatto preparare in un caffè». Ma la cortesia deve essere subito ricambiata : «[…] vi passammo cinque quarti d’ora senza che nessuno ci offrisse un bicchiere d’acqua, dopo di che noi offrimmo a questi signori il sorbetto, nel caffè dove essi ce lo avevano offerto il giorno prima ». Discutibile ospitalità!

Non deve meravigliare questa profusione di sorbetti in una regione con una lunga tradizione nella produzione del dissetante intrattenimento. Dagli arabi, attraverso la Sicilia, questa tipica prelibatezza aveva trovato il suo habitat anche in Puglia. Qui le neviere conservavano la materia prima, poi insaporita con succo e polpa di agrumi. In particolare a Peschici l’arte della gelateria era una vera e propria tradizione, giungendo a riconoscimenti importanti negli anni Settanta: d’obbligo per i turisti (anche illustri) la sosta al “Bar Barocco”, dove, partendo dal sorbetto preparato con i profumatissimi limoni di Rodi Garganico, si arrivò alle mitiche e vellutate creme al gusto di mandorla, noce e nocciola.

GIALLA crema pasticcera

Crema pasticcera gialla

La stessa sacralità della cerimonia del tè giapponese, appartiene ai pomeriggi d’inverno in cui, in casa, ricordo di aver assistito alla preparazione di una tazza di crema. Sbucciando un limone, pesando lo zucchero, sciogliendo lentamente la farina nel latte. Attorno al fuoco in attesa del bollore, si compiva la celebrazione del dolce.

Mia nonna poi ci aggiungeva quella che tutte le volte appariva una sorpresa: un cerchietto di cioccolato fondente! Da lei ho imparato che quando la si prepara, la crema, va pazientemente mescolata sempre nello stesso verso, avendo cura che non si addensi troppo e che il colore brilli quanto il cucchiaino!

Ingredienti per 1 litro di crema

1 lt di latte intero fresco
6 tuorli d’uovo
1 bustina di vanillina
la scorza di un limone non trattato
6 cucchiai di zucchero semolato
3 di farina
3 di fecola di patate

Suggerimenti per la preparazione e la cottura

Mescolare lentamente gli ingredienti nel latte evitando che si creino grumi e portare a bollore avendo cura di girare con una frusta sempre nello stesso verso con ritmo sostenuto fino ad ottenere la consistenza più o meno liquida che si gradisce. Raffreddare  a temperatura ambiente facendo aderire un foglio di pellicola da cucina sulla superficie di modo che non si crei una patina increspata.

Variante per la preparazione

Nel tramandare ricette per dessert domestici, si assimilano esperienze antiche. Questo appena descritto è solo uno dei modi, ma si possono raccogliere altri suggerimenti; c’è chi per esempio usa il procedimento contrario: montando prima  in una ciotola gli ingredienti (tuorli, zucchero, farina e fecola) da colare a filo poi nel latte già bollente  e già filtrato, aromatizzato con la scorza intera di un limone, per poi mescolare tutto assieme, lasciando bollire ancora 3/4 minuti.

 

Il Mozartkugel (cioccolatino Mozart)

Il Mozartkugel, il cioccolatino di Mozart

Era il 1884, quando Paul Fürst aprì la sua pasticceria a Salisburgo, in Brodgasse 13. Si vantava – giustamente – di avere fatto lunghi anni di esperienza nelle più importanti pasticcerie di Vienna, Budapest, Nice ecc.
Nel 1890, dopo numerose prove e tentativi, Paul creò il Mozartkugel.
Tale cioccolatino, squisito manufatto di cioccolato che avvolge un cuore di marzapane, è ancora disponibile nella versione originale di Furst grazie al nipote, ma si segnala anche come punto fermo nella storia del marketing applicato alla gola.

Infatti il suo inventore lo chiamò fin da subito “Mozartkugel” intuendo principi di marketing oggi banali, ma allora del tutto all’avanguardia.
Del resto gli austriaci, poveri di altre risorse, avevano già intuito che dal culto del mito mozartiano si poteva estrarre ricchezza. Si pensi, per fare un esempio, che il primo museo dedicato a Mozart era già stato aperto a Salisburgo da 10 anni (è del 1880) quando il dolcetto vide la luce per la prima volta.

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